Nicola Manicardi in questa sua ultima raccolta (“Carne e sangue”, OLTRE Edizioni, 2021) si sposta, lento e cauto, per restare nel centro delle cose, nella costola del respiro. 
Fatte salve alcune poesie che suggeriscono un viaggio in Salento, siamo a Modena, sui suoi viali, nella periferia, dentro le case, dentro le persone, camminando. 
Le sei sezioni in cui è diviso il libro (Storie sui viali di Modena, Con Sancho dove finisce Modena, Si spengono le luci nei padiglioni, Via Firenze 3 leggendo Brodskij, E tu, il dipinto più bello, La casa del disagio) sono accenni al reale che mai si sostituisce allo sguardo del poeta, al suo bisturi. Il rimando a Celan e ai suoi Microliti è esplicito nella citazione iniziale: “La poesia che viene al mondo vi giunge carica di mondo”. 
“Carne e sangue” però trova il suo passo proprio  dove evoca la mancanza e l’assenza, di una persona, di un gesto, del  rispetto, dell’equilibrio e della lentezza. 
Il verso è libero e accarezza la prosa, dove serve, sostenuto da scelte lessicali precise, sensoriali. 
Gli aironi sono radunati nel campo di fronte alla porcilaia. C’è semina, il sole è ancora caldo E l’acqua scorre nei canali. Lo vedrò oggi poi non so. […] L’odore è acre e il caldo lo trattiene i maiali domani partiranno. 
Questo l’incipit del primo testo della prima sezione. La morte non è  scritta ma è ovunque, la intrappola il caldo e la ingentiliscono gli  aironi, portatori, nella loro etimologia, di leggerezza. 
E ancora, da Via Firenze 3 leggendo Brodskij: 
A Modena non c’è il mare ma (più o meno) stretti corsi d’acqua dove canneti, ortiche e fiori bastardi crescono sui lati. 
La realtà si ricuce sul vuoto, inesorabile e pietosa nella sua  assenza di alternative emotive. La realtà è cura nella misura in cui le  sue infinite variabili non saranno mai l’amore indefinito e atrocemente  unico. 
Così l’ultima poesia della raccolta (dalla sezione La casa del disagio): 
Nel grande vaso i rami ornamentali hanno preso il posto della poltrona per la cura. Le uniche orme visibili le ha lasciate il cane che si trascina muovendo la testa in cerca dei suoi luoghi ma né lui né lei sono qui in questa casa dove tutto dorme. 
Lo spostarsi lento di un uomo con il suo cane, su una retta infinita  da cui osservare altre linee senza incontro solo con tracce di  riconoscibilità, anche inaspettate. 
Da Si spengono le luci nei padiglioni 
Si spengono le luci nei padiglioni la squadra delle pulizie inizia a passare la lavasciuga. Marco prima aveva un’edicola ora chiude i sacchi sporchi. È l’ora del cambio di turno. 
Dopo Macello di Ivano Ferrari, non c’è lordura, fetore o disgusto che la poesia non possa accogliere, ovviamente nel nostro moderno Inferno, ma le vie della pietas  sono infinite come ad essere senza limite è l’occhio del poeta che  baratta la propria vita con un senso perduto nelle vite altrui. 
Ci sono notti in cui mi capita di iniziare la frase toccando la mano al malato la seconda frase è guardarlo negli occhi la terza a dire “a breve farà un bel sonno”. 
Quel dormire che è una partenza, una vita che acquista senso, nel suo  dolore, nella percezione acuita, mai deformante, di qualcuno che è  costretto a trovare un modo per non farsi distruggere e annichilire dal  sangue e dalla carne. 
Un libro, si diceva, di assenza e mancanza ma non di disperazione. La luce filtra, polverosa e gialla, nel cuore lirico di “Carne e sangue”, in ogni verso di E tu, il dipinto più bello. 
In ogni testo c’è una negazione, manca la voce, mancano i nomi e il  sonno. Resta la contemplazione estatica di un lascito d’amore, di una  promessa che si è mantenuta in una pulsazione, in quella risposta  perpetua come l’onda del mare. 
Non credo, potrei sbagliarmi, che le poesie dedicate al dono più  bello (il refuso è voluto) siano non a chiusura del libro per un caso.  La perfezione circolare dell’amore infinito disorienta, non ha  coordinate, ci avvicina pericolosamente alla morte. Meglio lasciare l’onore del saluto ai propri cari defunti. 
Nicola Manicardi non solo è costantemente nella  carne e nel sangue dei suoi giorni ma ci permette di farne parte a patto  di avere coraggio e accettare che è nella fine che si perpetua la  conoscenza. 
“Ma soprattutto la poesia è lo scandalo che bisogna cucirsi addosso, è  la carne che non può non sanguinare insieme alla parole che della vita  raccontano i tagli e le ferite” (dalla Prefazione di Nicola Vacca).  
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