Curzia Ferrari: ĢI miei appunti inediti sull'ossessione delle Brigate Rosseģ

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10/09/2021, ore 10:13

Nelle righe di apertura del suo nuovo libro, Curzia Ferrari dichiara un marcato interesse per la cronaca: «Fa parte del territorio dove l'umanità combatte senza filtri, e si fanno contiimmediati, forse sbagliati come i giochi politici nel tempo magari dimostreranno, ma si soffre sul campo, in essa decifrando noi stessi».
Poetessa, giornalista, scrittrice, autrice di importanti inchieste e di libri tradotti in molte lingue, collaboratrice da anni della pagina della Cultura del nostro Giornale, Curzia Ferrari ha pubblicato ora la "cronaca" di un fenomeno che ha segnato la storia recente del nostro Paese. «L' ossessione delle Brigate Rosse (1968-1974): la parabola della "propaganda armata"» (Gammarò, 156 pp., 16 euro), in libreria da oggi, non è una ricostruzione storica, ma un diario costruito con gli appunti presi in quegli anni: «sassolini gettati nell'acqua», come scrive Dario Fertilio nella prefazione, intorno ai quali «si allargano i cerchi della memoria».

Curzia Ferrari, da dove arriva questo libro?

È cresciuto giorno per giorno, proprio nel periodo in cui si svolgevano i fatti. Raccoglievo le notizie di prima-mano fornitemi da un personaggio molto addentro queste vicende, una figura di altissimo livello nel contrasto alle Brigate Rosse. Non avrei mai pensato di risollevare questo materiale da 5O anni di silenzio; invece è successo e forse è bene che sia così, perché qui si trova un po' la genesi delle BR. C'è il loro carattere iniziale, si intuisce che l'università e la massa studentesca sono state l'anello forte di questo movimento. Lo si intuisce, ma non è detto espressamente, perché questo è un libro di eventi e non di riflessioni.

Lei aveva pensato di trarre un romanzo da questi appunti...

Sì, ma di libri sulle Brigate Rosse ne sono stati scritti molti. Così ho preferito rispettare le varie schegge che compongono questo, che è un libro da vivere come l'ho vissuto io. È un film, è come se i personaggi fossero qui con noi. Non sono né eroi, né delinquenti da capestro, ma interpreti deviati di un'epoca che aveva non poche smagliature nel proprio tessuto sociale.

Perché parla di "ossessione"?

Per me personalmente è stata un'ossessione, perché nella mia giornata lavorativa, fatta di tante altre cose, entravano tutti i giorni, come un martellamento, questi nomi, eventi, storie. Si è trattato di un'ossessione che ha abbracciato tutta l'Europa. Io, tuttavia, mi sono limitata a riferire ciò che mi veniva raccontato e quello che io stessa, a volte, potevo vedere guardando dalla finestra.

Ha conosciuto persone coinvolte in quei fatti?

Mi sono lasciata andare al racconto letterario solo parlando di alcune persone con cui ero in amicizia: ad esempio il cavaliere del lavoro Aristide Coin, il primo grande "espropriato" dalle BR. In appendice c'è una testimonianza di Giorgio De Varda, ex dirigente della Sit-Siemens, mio carissimo amico: con il rapimento dell'ingegner Idalgo Macchiarini, il primo sequestro delle BR nel 1972, visse questa paura, che poi divenne consuetudine ossessiva.

Perché la narrazione si ferma al 1974? Mi fermo con il sequestro del magistrato Mario Sossi, avvenuto nell'aprile di quell'anno. Mi erano venute meno le tessere più importanti per continuare il libro, che, come ho detto,è frutto di racconti quotidiani di un alto personaggio della parte awersa alle BR. Credo poi che con il sequestro Sossi finisca un'epoca: cominciano qui gli "anni di piombo". Prima c'erano i sequestri, le rapine, i cartelli appesi al collo delle vittime, ma non c'è stato il sangue, com'è avvenuto dopo il 1974.

Il suo non è un romanzo, tuttavia tra le righe circola un'ironia disincantata...

È un filo di ironia che percorre tutta la mia vita e il mio lavoro, dovuto alla constatazione che la società tende a cercare di migliorarsi, e invece rimane la stessa. Ho lavorato a lungo sulla rivoluzione russa: non esiste una rivoluzione che si proponga il male della società. Nel tempo ho imparato tante cose, ho arricchito la mia mente e la mia cultura, ma il mondo resta sempre quello.
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