| Come  è la vita di un profugo? Qual è il suo stato d’animo nel lasciarsi la  propria vita alle spalle, abbandonando tutto, i propri congiunti, gli  affetti, i propri beni, i luoghi, una qualità della vita conquistata e  ben conosciuta, in cambio dell’incertezza, precipitato in terra  straniera in uno stato di assoluto bisogno, con l’esigenza di dover  ricominciare tutto da zero, preoccupato per l’incolumità di chi non è  potuto fuggire, l’animo roso dall’ingiustizia degli uomini e dei  sistemi, e dal desiderio di un intervento di equità che divino o terreno  che sia, comunque non arriva mai. Quello che invece inesorabilmente  arriva, è … il giorno dopo, e poi quello dopo ancora, il trascorrere del  tempo nella speranza che tutto si risolva, nell’attesa che il pericolo  in Patria cessi e che presto potrà esserci un ritorno, una ritrovata  normalità. Passano i giorni, che si accumulano in mesi e poi in anni,  che con la loro imperterrita indifferenza alle vicende umane, fanno  sedimentare tutto, smorzano desideri ed entusiasmi e anestetizzano  dolori e rancori. Quel trascorrere del tempo che inevitabilmente finisce  per far sentire cittadini in terra straniera e stranieri in patria, che  ammanta tutto della polvere delle cose vecchie, datate, delle quali è  fin quasi disdicevole parlare, il passato da relegare negli angoli della  memoria, celato e da raccontare malvolentieri persino ai propri figli e  nipoti.
 L’azera  Sabina Nurakhmedova in questo romanzo appassionato racconta la guerra  tra l’Azerbaigian e l’Armenia, denuncia l’assurdità di tutte le guerre  per le conseguenze che provocano nei destini di tanta gente, come lei,  costretti a lasciare il proprio Paese, la propria casa, la propria  famiglia finendo inevitabilmente per far sentire gli esuli “cittadini in  terra straniera e stranieri in patria”. 
  
Interessante, cosa ne dite? 
Buona lettura!  
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