L’Acqua: parole e immagini per ricordare Pietro Greco

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26/11/2022, ore 05:55


Tra pochi giorni ricorre il secondo anniversario della scomparsa di Pietro Greco, la cui voce in questi tempi convulsi avrebbe forse portato ordine e luce.

Pietro Greco, chimico e poi divulgatore, giornalista, scrittore e insegnante è venuto improvvisamente a mancare il 18 dicembre del 2020 e subito sono state tante le manifestazioni di affetto da parte degli amici e colleghi, dai suoi studenti e dai suoi lettori e radioascoltatori che ne hanno sempre lodato la correttezza, la pacatezza e l’estrema chiarezza.

Fra i progetti lasciati incompiuti c’era anche una serie di libri pensati con il fotografo Roberto Besana: parole e immagini che si specchiano per descrivere la natura in cambiamento sotto i nostri occhi poco attenti ai suoi segnali e avvertimenti. Roberto Besana e Pietro Greco sono riusciti insieme a pubblicare “L’Albero” e proprio un bellissimo ulivo secolare, “L’Albero di Pietro”, è stato il regalo che la sua Ischia ha pensato per ricordarlo.

Il fotografo non ha però voluto che il progetto si fermasse ma ne ha fatto un omaggio all’amico scomparso. È nato così “Il Paesaggio”, pubblicato nel 2021, ed è di nuova uscita “L’Acqua”.

La struttura de “L’Acqua” è semplice: è stato chiesto a 67 autori – 67 come l’età che Pietro Greco avrebbe oggi e come ideale regalo di compleanno – di scegliere fra le foto di Besana quella che ritenessero evocativa e più vicina al loro sentire e di affiancarle un testo con parole di scienza, di ricordo, di amicizia.

Con la cura di Sandro Iovine è nato un volume diviso in quattro temi che sono diventati quattro capitoli e in cui l’immagine di acque placide si alterna a cascate tumultuose, mari aperti o nuvole cariche a scorci dalle linee confuse dalla nebbia. Un libro quindi da guardare ma anche da leggere nelle diverse interpretazioni che gli autori hanno dato dell’acqua. E da donne e uomini di scienza, quali molti di loro sono, non potevano non ricordare l’acqua come origine raccontando il fascino di quegli atomi che grazie alle loro caratteristiche di disposizione nello spazio e polarità hanno consentito all’acqua di essere la culla della vita. Le foto diventano così il mezzo per parlare di fisica o biologia, per cercare di razionalizzare in formule la forza e l’impetuosità dell’acqua. Per altri autori la foto è invece il tramite per tornare al passato, per raccontare di sé o di realtà che scompaiono o, ancora, per riflettere sul senso dell’esistenza, sulla nascita della civiltà e sul ruolo fondamentale che l’acqua ha avuto nel costruire le comunità di uomini.  

Ed è particolare come, pur nella staticità delle immagini, nell’idea dell’acqua sia insito il suo scorrimento e richiami negli autori il Panta rei di Eraclito come riflessione sul nostro mutare e sul mutare della natura intorno a noi. L’acqua diventa quindi un monito, con l’immagine della sua furia distruttiva o con la sua tragica scomparsa in una valle riarsa, sui cambiamenti climatici, sulle colpe e la cecità umana.

La fotografia di Roberto Besana, rinunciando al colore e scegliendo il bianco e nero, costringe a soffermarsi sui particolari per decifrare meglio il contesto ma lascia anche libero sfogo all’immaginazione: davanti alla foto di una scura distesa marina appena mossa dal vento non si può che pensare al “mare color del vino” di Omero, il riflesso nell’acqua in un gioco di specchi costringe e pensare alla realtà e al suo doppio che si confondono, l’asfalto luccicante di gocce diventa una galassia e le goccioline della nebbia “una nuvola al suolo” mentre le note di De André, Paolo Conte e Finardi suggeriscono la colonna sonora.

La protagonista acqua è quindi declinata da Besana nella sua forma liquida che zampilla da fontane barocche che richiamano negli autori la necessità di preservare l’arte, la cultura e con esse i rapporti umani; come ghiaccio e neve è lì a ricordare quanto stiamo perdendo dai ghiacciai che si ritirano e quanto insensato è stato l’agire umano che ha permesso di inquinare con le microplastiche anche i Poli.

E poi c’è l’acqua fotografata nella sua forma eterea di bruma che sale fra gli argini di un fiume e le risaie, e nebbia fitta che avvolge di bianco il paesaggio che diventa così placido ma anche misterioso.

Gli autori non hanno potuto e voluto dimenticare anche l’acqua che congiungeva popoli e che diventa tomba. Ne rievocano l’importanza nei riti di passaggio e di consacrazione, ricordano come l’acqua accolga cambiamenti e speranze, ma come si faccia scrigno anche di illusioni, dolore e morte.

Come ne “L’Albero” e “Il Paesaggio” anche qui le immagini ritraggono luoghi senza una collocazione nello spazio e nel tempo, l’acqua definisce solo ciò che vogliamo vedere e l’interpretazione che ne vogliamo dare e così rami sommersi sono allo stesso tempo immagine di morte o immagine di nuova vita e rinascita che sta per avvenire. Il libro diventa quindi anche un momento di confronto fra cosa leggiamo noi nell’immagine e cosa invece hanno letto gli autori che le hanno commentate, diventa perciò oggetto vivo che cambia ogni volta che proviamo a cambiare la prospettiva.

E Pietro Greco, filo conduttore, spunta qua e là fra le pagine, fra chi ne celebra la figura e chi ricorda con affetto l’amico scomparso troppo presto e lo rivorrebbe accanto per farsi raccontare con parole semplici questo nostro Mondo. Il libro si apre infatti con il ringraziamento di Emilia, moglie di Pietro Greco, per aver portato a compimento un progetto tanto pensato dal marito e si chiude con la foto del volto di lui sorridente e gentile. Accanto un suo breve ritratto in cui si stagliano le parole: “Amava scrivere”.


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