Storia di un viaggio rock e considerazioni sull'America che aspetta un nuovo presidente

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17/06/2016, ore 12:04

di Laura Bonelli

Una rock band della bassa emiliana parte per una serie di concerti negli Stati Uniti. Si tratta di un viaggio “on the road”, fatto con un camper, macinando migliaia di chilometri. Suonano assieme da vent’ anni e si conoscono bene, sono amici. Si tratta dei RAB4, ignoti sia in Italia che in America. Il leader del gruppo però è Seba Pezzani, uno dei più stimati traduttori dalla lingua inglese, che lavora abitualmente con scrittori del calibro di Jeffery Deaver a cui si deve, tra gli altri,  il personaggio dell’ispettore tetraplegico  Lincoln Rhyme de Il Collezionista di ossa e  Joe R. Lansdale.

“Istruzioni per l’ U.S.A.” (Oltre Edizioni) è il resoconto di questo viaggio, uscito ad anno di distanza dal libro “Americrazy”. Scritto in forma diaristica racconta  i luoghi e gli incontri della grande America attraverso i dettagli e le storie di gente comune e personaggi famosi.

Seba Pezzani di se stesso dice che è cresciuto a “pane e America fin dall’infanzia” e da anni collabora con L’Unità e Il Giornale, curando la pagina di cultura americana.


Il secondo tour dei RAB4 negli States ha ispirato “Istruzioni per l'U.S.A.”. Come hai ritrovato la grande America rispetto al tour precedente?

L'America è sempre uguale e sempre diversa. Ma credo che la cosa valga per qualsiasi luogo e per qualsiasi viaggio. Ogni volta che vado a Roma, per esempio, semplicemente ripercorrendo la stessa strada del centro, noto qualcosa di diverso, qualcosa che è lì da millenni. Gli USA, ovviamente, sono un paese giovane, un universo variegato in cui, peraltro, si trova sempre un minimo comun denominatore, indipendente dal fatto che uno sia sull'Atlantico o sul Pacifico, nel profondo Sud o ai confini con il Canada. Insomma, una volta in America, in America sei. E si vede. E si sente. Nel bene come nel male. Noi italiani - forse, noi europei - siamo portati a pensare che "americano" sia sinonimo di esagerato, semplicione, sciocco. Talvolta, questo stereotipo aderisce perfettamente a una triste realtà. Il più delle volte, fortunatamente, si tratta di un aggettivo che ha in sè parecchia nobiltà, se non eccellenza. L'America un tempo era associata alla voglia di libertà, una libertà non legata solo alla condizione politica interna, ma a una certa voglia di evasione dai cliché della vita in società, dalla possibilità, volendo, di astrarci, di vivere in eremitaggio, peraltro avvalendoci dei benefici della civiltà. Si tratta di un privilegio che è tuttora accessibile quasi a tutti all'interno del territorio sconfinato degli USA. Forse - anzi, certamente - l'America di oggi non è più come quella favoleggiata dei tardi anni Sessanta e primi Settanta, un'America che ancora pensava di poter vivere il proprio sogno, però resta un paese in cui l'imposizione dello stato sul cittadino è meno palpabile che da noi. E questo lo si percepisce tuttora.


Quali sono i sentori sociali della gente per ciò che riguarda i giochi politici che si stanno delineando in vista delle elezioni presidenziali di novembre?

La politica americana è strana. Comunque parecchio diversa dalla nostra. Il paradosso è che oggi si vota di più negli USA che da noi. Le percentuali si sono ribaltate. Non so se il sentore comune sia diverso da quello che c'è sempre stato. So che la popolazione è più polarizzata di quanto si pensi tra chi vota per i Repubblicani e chi per i Democratici, anche se non si registrerà forse mai una contrapposizione ideologica insanabile tra i due schieramenti come quella a cui siamo stati abitati noi, prima con DC e PCI e poi con la sinistra e la destra. Malgrado profondi contrasti, chi oggi vota democratico magari domani darà il voto ai repubblicani e viceversa. Difficile capire come si arrivi a tanto. Personalmente, avrei qualche difficoltà a votare repubblicano, sapendo che si tratta del partito favorevole alla circolazione delle armi, contrario ad aborto, eutanasia, sanità pubblica, politiche di sostegno sociale ai meno fortunati, favorevole tout court, cioè senza la minima esitazione, a qualsiasi operazione militare fuori dai propri confini, contraria alle minoranze sessuali eccetera, contrarie a limitare lo strapotere economico dei più ricchi e a riequilibrare gli sbilanciamenti del censo. Ma per gli americani conta relativamente poco. Per cui, magari, oggi qualcuno che ha sostenuto l'invasione dell'Iraq è contrario a nuovi coinvolgimenti militari americani e chi in questo momento non è convinto che sia giusto concedere il porto d'armi a tutti in modo indiscriminato magari domani asserirà con forza il diritto universale all'autodifesa, contro ogni logica.


Come esperto di cultura pop americana qual è invece il tuo punto di vista sulle presidenziali? E i messaggi dei media che arrivano a noi in Italia sui due candidati principali sono corretti e completi secondo te?

Non so quanto io mi possa definire un esperto di cultura pop americana. Posso solo dire che detesto Donald Trump. Lo trovo un buzzurro. E, scusate, ma non vorrei mai un buzzurro come mio rappresentante. Un buzzurro che rappresenti gli Stati Uniti sarebbe un insulto al mondo e un pericolo planetario. Credo, peraltro, che molte delle stupidaggini sesquipedali che dispensa al pubblico con frequenza imbarazzante non potrebbe mai realizzarle. Fortunatamente, gli USA hanno un buon paracadute di leggi democratiche, ma sarebbe comunque un disastro. Trovo parecchie analogie con i disastri berlusconiani, anche nel modo di porsi di fronte al pubblico e nel suo atteggiamento poco garbato nei confronti delle donne e delle categorie più deboli. Trump è un arrogante ricco, potente e ignorante. I valori a cui si ispira sono la famiglia tradizionale (ma siamo poi sicuri che sia sempre quel porto sicuro?), la ricchezza per merito (una ridicola chimera, anche se molto americana), la prestanza fisica, la bellezza (in questo caso, penso che una visita psichiatrica non sarebbe da escludere), la patria, il ripristino della posizione di leader globale da parte degli Stati Uniti, il porto d'armi libero e incondizionato, la guerra libera contro chiunque e ovunque nel mondo per "difendere" gli interessi (chiamiamoli pure privilegi acquisiti) degli USA, il soffocamento del dissenso giornalistico, ecc. Insomma, ce n'è abbastanza per non volergli tanto bene. All'inizio delle primarie, quando ho scoperto che si sarebbe candidato, ho pensato che fosse una buona cosa perché un personaggio del genere avrebbe finito per andare a svantaggio del suo partito. Ma l'americano medio è sciocco e poco istruito e, ora che ha vinto le primarie del suo partito, non sono più tanto tranquillo. Non scordiamoci che è un uomo ricchissimo e potentissimo. Eppure, è talmente sconveniente la sua candidatura da aver messo in imbarazzo altri compagni di partito. Devo dire che in un certo senso preferisco lui a Ted Cruz, un candidato apertamente ancor più retrogrado e fascista. Purtroppo, ci scordiamo troppo spesso quanto vicine al fascismo certe posizioni repubblicane siano. Ma il discorso è lunghissimo e, probabilmente, non si arriverebbe da nessuna parte. Credo che, tutto sommato, i media europei rappresentino in maniera corretta lo scontro. Quello che davvero faticano a fare è descrivere l'America e gli americani nel modo giusto. Lo fanno con stereotipi triti, per far sorridere, oppure con analisi spaventose che non tengono minimamente conto della vocazione di questo enorme stato e della personalità complessiva del suo popolo.



[leggi l'articolo originale su L'araldo]




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