*La catena spezzata* di Giorgetta Dorfles

Articoli

22/08/2023, ore 08:35

Vive a Trieste, Giorgetta Dorfles. Giornalista, fotografa, autrice di poesie, romanzi e racconti, vanta un curriculum impressionante. Ha girato cortometraggi premiati, è stata editor nella pubblicità, fotoreporter per alcuni quotidiani, aiuto regista e sceneggiatrice per la televisione. Da narratrice, il contributo più recente è la raccolta di sedici racconti triestini, La catena spezzata, pubblicata nel 2022 da Gammarò, del gruppo editoriale Oltre, di Sestri Levante (collana “Le opere e i giorni”, 152 pagine).

Giorgetta Dorfles è nata a Volterra e ha vissuto fin dai primi anni a Trieste, dove si è laureata in Lettere moderne, con tesi in estetica. Trasferita nella capitale, ha fotografato per Il giornale di Roma, lavorato in un’agenzia pubblicitaria e da aiuto regista e sceneggiatore di documentari per una società di produzioni televisive.
Tornata a Trieste, collabora come giornalista freelance alle pagine culturali di alcuni giornali (Meridiano, Il Piccolo, Trieste Oggi) con recensioni di libri, interviste e inchieste, corredate anche da servizi fotografici.
Sue poesie appaiono in opere selezionate in concorsi nazionali. Suoi racconti sono inclusi nelle antologie La nostra gente racconta (Vita Nuova,1989), Trieste e un manicomio (Lint, 1998) e Racconti triestini (Arbor librorum edizioni, 2011).
Nel 2006 ha realizzato una serie di videopoesie, dal titolo Inclusioni, proiettata in rassegne nazionali. Come fotografa ha esposto nella Galleria Comunale d’Arte di Trieste in due mostre personali. Nel 2008 è uscito, per i tipi dell’editore Il ramo d’oro, il romanzo Errata Corrige. Reportage di una nevrosi. Nel 2011 per le stesse edizioni ha pubblicato una silloge di poesie che include una videopoesia e foto dell’autrice. Nel 2019 è uscito per Manni editori il libro di racconti Di tutti i peccati delle donne.

Il critico d’arte, pittore e filosofo Gillo Dorfles, uno dei protagonisti della cultura italiana del Novecento, ha scritto per lei e Paolo il famoso Abbecedario, realizzato nei primi anni Cinquanta per i figli del fratello Giorgio, scolaretti o remigini, come si dirà un decennio dopo, quando l’anno scolastico si apriva il 1 ottobre, San Remigio. L’album è stato pubblicato solo settant’anni dopo e se personaggi e immagini erano di fantasia e mano dello zio, è proprio Giorgetta ad avere ha trascritto con la sua calligrafia i testi, le didascalie sotto i disegni.

Numeri bizzarri per i bambini e soprattutto lettere dell’alfabeto originali e tutt’altro che convenzionali (R come Rodomonte, altro che rana; M come Macaco, non mela; L come Lampreda, non lumaca). Crittogrammi, in qualche modo, ch’è il titolo di uno dei sedici testi brevi della Dorfles nipote. Qualcuno vi trasforma e stesso e il proprio ultimo atto in un messaggio criptico, in continuità con la passione per i messaggi cifrati.
Ritiene che l’essere stata avviata alla lettura fin da bambina le abbia suggerito la possibilità di poter creare a sua volta delle storie. Tema e contenuto comune è un legame che si spezza, con cui tutti si misurano nei sedici racconti, che sono in qualche modo prodotti della pandemia.
Durante l’isolamento, Giorgetta Dorfles ha pensato di rielaborare dei vecchi racconti, quelli più aderenti al clima grigio del momento. A quel punto, per completare una raccolta avrebbe dovuto aggiungerne altri e la catena spezzata ha segnato la traccia da seguire. Nell’adolescenza ha scritto poesie, apprezzate dalla poetessa triestina Lina Galli, che l’aveva incoraggiata a continuare. I racconti sono arrivati più tardi, quando ormai aveva “esperienze di vita da cui trarre ispirazione”.

L’identità storica promiscua di Trieste rientra perfettamente nel contesto. Una città in bilico lungo “un confine labile” non può non imprimere un senso d’instabilità sulla pelle di chi vive in questo habitat diviso di confine. Non si dice a caso “Triestini mezzi matti” e Basaglia è ha spalancato proprio qui i cancelli dei manicomi.

In effetti, c’è un che di psichiatrico nelle storie di Giorgetta. La catena spezzata è uno dei racconti, breve più di altri. Rebecca tenta di riannodare il filo della vita, rotto dalla sua ipocondria. Forse la catena del Dna si è spezzata, tagliando fuori il lato femminile, allorché si era sentita abbandonata e tradita per l’arrivo di un fratello più coccolato e apprezzato. Si era vendicata della madre e sintonizzata sul padre, pur poco presente quand’era bambina, assorbito dal lavoro.
Per questo, deve ripescare la propria parte femminile unendola alla maschile, fino ad armonizzarle. Unire la forza alla calma, “il pessimismo ansioso alla gioiosa fiducia”. Ma prima deve chiedere perdono alla madre, che ha voluto allontanare, rinnegandone le doti.

Un’altra vita è spezzata ne L’infarto, che colpisce il padre della protagonista di un altro dei racconti. La parola che suona minacciosa, al pari dell’infarto che genera il senso di colpa della figlia. Coglie l’avvocato parecchi anni dopo, benché in piena forma: asciutto, senza un filo di colesterolo, ottantenne pienamente attivo.
Profondo e struggente il rapporto con la mamma, che Giorgetta descrive costretta dai medici a letto in ospedale.
Novantasettenne, l’anziana non comprende la ragione della costrizione: il suo cervello danneggiato dalla demenza senile non riesce più a sintonizzarsi sulla realtà. In lei però sopravvive forte lo spirito d’indipendenza, reclama il suo diritto di alzarsi per andare in bagno, con un tono che da autoritario diventa supplice. Resasi conto che la supplica è vana, prende a smaniare, piegando le gambe e tentando di metterle oltre le sponde del letto, per andare via, lontano, secondo un istinto quasi animale.


Commenti   |   Stampa   |   Segnala   |  Ufficio Stampa Oltre Edizioni Ufficio Stampa