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L’albero. Tra cielo e terra
Globus di lunedģ 7 marzo 2022
Ci guardano, attori inconsapevoli del nostro benessere. Ci riscaldano da migliaia di anni, rinfrescano le nostre estati, il loro legno ci protegge dalle intemperie. Offrono il piacere del paesaggio, danno colore...

di Fabio Lagonia

Ci guardano, attori inconsapevoli del nostro benessere. Ci riscaldano da migliaia di anni, rinfrescano le nostre estati, il loro legno ci protegge dalle intemperie. Offrono il piacere del paesaggio, danno colore alle nostre città, in gruppo diventano la casa di migliaia di specie viventi, rendono abitabile il pianeta in cui viviamo. Sono gli alberi, continua meraviglia per chi ha la sensibilità di ascoltarli, di abbracciarli. Gli alberi parlano di noi. E noi dobbiamo parlare di loro. Un interessante quanto originale approccio al tema ci viene offerto dal dialogo tra un fotografo e uno scrittore: il primo è Roberto Besana, il secondo Pietro Greco, giornalista di fama internazionale nonché uno dei maggiori comunicatori di scienze, che purtroppo ci ha lasciato di recente. Entrambi hanno trovato ispirazione dall’ascolto delle storie della vita di castagni secolari raccontate da una straordinaria guardaparco, Giuliana Pincelli, a Carisolo,  in cima alla trentina Val Rendena (Parco Naturale Adamello Brenta). Un racconto fatto con rara passione che ha tirato fuori le interazioni infinite che l’uomo ha con questi meravigliosi e indispensabili monumenti della natura. Da qui Besana e Greco hanno elaborato l’idea di dar voce agli alberi, i quali ci parlano nei modi più svariati. A volte solo con il vento. A volte addirittura senza stormir di foglie, solo con la loro immobile ma vitale presenza.

L'albero padre - Roberto Besana

L’albero padre  © Roberto Besana

Così un fotografo e uno scrittore, con le rispettive abilità e sensibilità riescono a raccontare la maestosa bellezza e l’eccezionale generosità degli alberi. Fotografie e parole che si armonizzano e trovano una loro mirabile sintesi in sessantacinque dialoghi e quattro poesie inedite di Francesca Boccaletto, raccolti nel libro L’albero pubblicato a settembre 2020 da Töpffer edizioni, 152 pagine.  Fotografie e parole che narrano di questo fondamentale patrimonio naturale, dell’incanto che offrono con i paesaggi che abbelliscono. Melina Scalise, nell’introduzione a questo bel volume, fornisce una suggestiva rappresentazione degli alberi: «Sono da sempre una sorta di alter ego dell’uomo, con il loro essere “piantati a terra” come le nostre vite, e il loro ramificarsi catturando la luce come il nostro desiderio di trascendere». Senza tralasciare la presenza dell’albero della vita in molte religioni, mitologie e filosofie, ciò che conferma quanto l’albero primigenio rappresenti il collegamento tra la terra e il cielo, con le sue radici affondate nel profondo e i rami protesi verso le stelle. Questo insieme di “dialoghi” tra il fotografo e lo scrittore fa rivivere e parlare poeti, artisti, scienziati (tra cui Lorenzo Ciccarese, uno dei massimi esperti di boschi): ne abbiamo scelti cinque per celebrare, con Roberto Besana e Pietro Greco, gli alberi e la loro essenziale posizione nell’ecosistema. Un piccolo segno di rispetto per i loro dolci silenzi e per la bellezza che sanno dare ai nostri occhi.

L’albero della conoscenza

Epica e tragica è la vicenda di molti alberi. Considerate l’”albero della vita” che nel racconto biblico è posto da Dio al centro del guardino dell’Eden. Cosa c’è di più esaltante, di più creativo della vita? Considerate  l’albero della conoscenza che, sempre nella Genesi, con la sua bellezza e la bellezza dei suoi frutti induce gli umani al peccato. Cosa c’è di più tragico? Dura è infatti la condanna divina. «Partorirai con dolore»  dice Dio a Eva che ha colto la mela. E tu, dice ad Adamo che il frutto dell’albero della conoscenza lo ha mangiato: «Con dolore trarrai il cibo [dalla terra] per tutti i giorni della tua vita». Non è un caso che “l’albero della vita” con le sue fronde epiche e l’”albero della conoscenza” con i suoi tragici frutti siano posti dal narratore biblico al centro del paradiso terrestre. La natura – dell’uomo, degli alberi – è insieme epica e tragedia. La vita è tanto creazione quanto crudele arpia “rossa nei denti e negli artigli”, come diceva il poeta Alfred Tennyson. Prendete, a esempio, un albero fuori dalla narrazione biblica e fuori dalla poesia. In maniera molto più tangibile, prendete l’albero di Isaac Newton, lì nel Lincolnshire (Inghilterra). Correva l’anno 1666 e la leggenda di sapore epico vuole che quell’albero avrebbe rilasciato la mela che ha fatto scattare la creatività di Isaac Newton portandolo a elaborare la teoria della gravitazione universale. Oggi quell’albero è ancora vivo e attira l’attenzione di molta gente. Troppa. I turisti hanno ferito le radici dell’albero di Newton, che ora è costretto (tragicamente) a vivere come in carcere. Chiuso in un recinto. Separato dal mondo, come quest’albero dietro un muro.

L'abero della conoscenza © Roberto Besana

L’abero della conoscenza © Roberto Besana

La selva oscura

Nessuno meglio di Dante Alighieri è riuscito già all’inizio della Divina Commedia a esprimere uno dei tanti (e contrastanti) sentimenti che nell’uomo muove la foresta, il bosco, la selva. Questo sentimento è la paura:

Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita. / Ahi quanto a dir qual era è cosa dura / esta selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinova la paura!

Nella selva, l’uomo si perde. Si sente smarrito. La paura della foresta selvaggia e aspra e forte appartiene alla cultura non solo di Dante, ma alla cultura popolare. Pensiamo alla favola di Hansel e Gretel dei fratelli Grimm o a quella più antica di Cappuccetto Rosso proposta da Perrault nel 1697 e raccolta dagli stessi fratelli tedeschi. Nella foresta c’è il pericolo. Ma la selva è espressione massima della vita. E allora la metafora di Dante Alighieri è chiara: la selva oscura così selvaggia e aspra e forte è la vita stessa. Ci fa paura, quando non sappiamo dove andare. Quando smarriamo la retta via.  Ma anche nella selva più oscura e aspra e forte non bisogna mai perdere la speranza di trovare una via d‘uscita. Anche quando la situazione sembra così disperata da somigliare alla morte… Ma lasciamo la parola a Dante, che sempre a proposito della selva in cui si è smarrito, continua:

Tant’ è amara che poco è più morte; / ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, / dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.

Anche in quell’intrico di alberi che ci fa terrore è possibile trovare (c’è) del buono. È possibile trovare (c’è) del bene. Dante Alighieri apre dunque il suo capolavoro – uno dei più grandi poemi di ogni tempo – elevando a protagonista la selva e facendole esprimere due sentimenti in apparenza contrastanti che l’uomo ha nei confronti della vita: la paura costante di sbagliarsi e la speranza di trovare, a ogni inciampo, del bene.

La selva oscura © Roberto Besana

La selva oscura © Roberto Besana

Radici e rami © Roberto Besana

Radici e rami © Roberto Besana



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Ci guardano, attori inconsapevoli del nostro benessere. Ci riscaldano da migliaia di anni, rinfrescano le nostre estati, il loro legno ci protegge dalle intemperie. Offrono il piacere del paesaggio, danno colore...

di Fabio Lagonia

Ci guardano, attori inconsapevoli del nostro benessere. Ci riscaldano da migliaia di anni, rinfrescano le nostre estati, il loro legno ci protegge dalle intemperie. Offrono il piacere del paesaggio, danno colore alle nostre città, in gruppo diventano la casa di migliaia di specie viventi, rendono abitabile il pianeta in cui viviamo. Sono gli alberi, continua meraviglia per chi ha la sensibilità di ascoltarli, di abbracciarli. Gli alberi parlano di noi. E noi dobbiamo parlare di loro. Un interessante quanto originale approccio al tema ci viene offerto dal dialogo tra un fotografo e uno scrittore: il primo è Roberto Besana, il secondo Pietro Greco, giornalista di fama internazionale nonché uno dei maggiori comunicatori di scienze, che purtroppo ci ha lasciato di recente. Entrambi hanno trovato ispirazione dall’ascolto delle storie della vita di castagni secolari raccontate da una straordinaria guardaparco, Giuliana Pincelli, a Carisolo,  in cima alla trentina Val Rendena (Parco Naturale Adamello Brenta). Un racconto fatto con rara passione che ha tirato fuori le interazioni infinite che l’uomo ha con questi meravigliosi e indispensabili monumenti della natura. Da qui Besana e Greco hanno elaborato l’idea di dar voce agli alberi, i quali ci parlano nei modi più svariati. A volte solo con il vento. A volte addirittura senza stormir di foglie, solo con la loro immobile ma vitale presenza.

L'albero padre - Roberto Besana

L’albero padre  © Roberto Besana

Così un fotografo e uno scrittore, con le rispettive abilità e sensibilità riescono a raccontare la maestosa bellezza e l’eccezionale generosità degli alberi. Fotografie e parole che si armonizzano e trovano una loro mirabile sintesi in sessantacinque dialoghi e quattro poesie inedite di Francesca Boccaletto, raccolti nel libro L’albero pubblicato a settembre 2020 da Töpffer edizioni, 152 pagine.  Fotografie e parole che narrano di questo fondamentale patrimonio naturale, dell’incanto che offrono con i paesaggi che abbelliscono. Melina Scalise, nell’introduzione a questo bel volume, fornisce una suggestiva rappresentazione degli alberi: «Sono da sempre una sorta di alter ego dell’uomo, con il loro essere “piantati a terra” come le nostre vite, e il loro ramificarsi catturando la luce come il nostro desiderio di trascendere». Senza tralasciare la presenza dell’albero della vita in molte religioni, mitologie e filosofie, ciò che conferma quanto l’albero primigenio rappresenti il collegamento tra la terra e il cielo, con le sue radici affondate nel profondo e i rami protesi verso le stelle. Questo insieme di “dialoghi” tra il fotografo e lo scrittore fa rivivere e parlare poeti, artisti, scienziati (tra cui Lorenzo Ciccarese, uno dei massimi esperti di boschi): ne abbiamo scelti cinque per celebrare, con Roberto Besana e Pietro Greco, gli alberi e la loro essenziale posizione nell’ecosistema. Un piccolo segno di rispetto per i loro dolci silenzi e per la bellezza che sanno dare ai nostri occhi.

L’albero della conoscenza

Epica e tragica è la vicenda di molti alberi. Considerate l’”albero della vita” che nel racconto biblico è posto da Dio al centro del guardino dell’Eden. Cosa c’è di più esaltante, di più creativo della vita? Considerate  l’albero della conoscenza che, sempre nella Genesi, con la sua bellezza e la bellezza dei suoi frutti induce gli umani al peccato. Cosa c’è di più tragico? Dura è infatti la condanna divina. «Partorirai con dolore»  dice Dio a Eva che ha colto la mela. E tu, dice ad Adamo che il frutto dell’albero della conoscenza lo ha mangiato: «Con dolore trarrai il cibo [dalla terra] per tutti i giorni della tua vita». Non è un caso che “l’albero della vita” con le sue fronde epiche e l’”albero della conoscenza” con i suoi tragici frutti siano posti dal narratore biblico al centro del paradiso terrestre. La natura – dell’uomo, degli alberi – è insieme epica e tragedia. La vita è tanto creazione quanto crudele arpia “rossa nei denti e negli artigli”, come diceva il poeta Alfred Tennyson. Prendete, a esempio, un albero fuori dalla narrazione biblica e fuori dalla poesia. In maniera molto più tangibile, prendete l’albero di Isaac Newton, lì nel Lincolnshire (Inghilterra). Correva l’anno 1666 e la leggenda di sapore epico vuole che quell’albero avrebbe rilasciato la mela che ha fatto scattare la creatività di Isaac Newton portandolo a elaborare la teoria della gravitazione universale. Oggi quell’albero è ancora vivo e attira l’attenzione di molta gente. Troppa. I turisti hanno ferito le radici dell’albero di Newton, che ora è costretto (tragicamente) a vivere come in carcere. Chiuso in un recinto. Separato dal mondo, come quest’albero dietro un muro.

L'abero della conoscenza © Roberto Besana

L’abero della conoscenza © Roberto Besana

La selva oscura

Nessuno meglio di Dante Alighieri è riuscito già all’inizio della Divina Commedia a esprimere uno dei tanti (e contrastanti) sentimenti che nell’uomo muove la foresta, il bosco, la selva. Questo sentimento è la paura:

Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita. / Ahi quanto a dir qual era è cosa dura / esta selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinova la paura!

Nella selva, l’uomo si perde. Si sente smarrito. La paura della foresta selvaggia e aspra e forte appartiene alla cultura non solo di Dante, ma alla cultura popolare. Pensiamo alla favola di Hansel e Gretel dei fratelli Grimm o a quella più antica di Cappuccetto Rosso proposta da Perrault nel 1697 e raccolta dagli stessi fratelli tedeschi. Nella foresta c’è il pericolo. Ma la selva è espressione massima della vita. E allora la metafora di Dante Alighieri è chiara: la selva oscura così selvaggia e aspra e forte è la vita stessa. Ci fa paura, quando non sappiamo dove andare. Quando smarriamo la retta via.  Ma anche nella selva più oscura e aspra e forte non bisogna mai perdere la speranza di trovare una via d‘uscita. Anche quando la situazione sembra così disperata da somigliare alla morte… Ma lasciamo la parola a Dante, che sempre a proposito della selva in cui si è smarrito, continua:

Tant’ è amara che poco è più morte; / ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, / dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.

Anche in quell’intrico di alberi che ci fa terrore è possibile trovare (c’è) del buono. È possibile trovare (c’è) del bene. Dante Alighieri apre dunque il suo capolavoro – uno dei più grandi poemi di ogni tempo – elevando a protagonista la selva e facendole esprimere due sentimenti in apparenza contrastanti che l’uomo ha nei confronti della vita: la paura costante di sbagliarsi e la speranza di trovare, a ogni inciampo, del bene.

La selva oscura © Roberto Besana

La selva oscura © Roberto Besana

Radici e rami © Roberto Besana

Radici e rami © Roberto Besana



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