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Fitzcarraldo, Scott, l’epica
laRegione di venerdģ 7 ottobre 2022
Il genere letterario della narrazione eroica raccontato da un romanzo di Benedicta Froehlich, il film di Werner Herzog e Alis Rizzato del Cinema Leventina

di Massimo Daviddi
fitzcarraldo-scott-l-epica

Si può pensare che l’epica sia uno dei pochi sentieri dove ritrovare la pienezza del sogno, una volta usciti dalla disillusione del presente, nel peso dei giorni che si ripetono senza fine. Allora iniziamo a esplorare quella parte del bosco per noi oscura, difficile da raggiungere; questo è il sogno ad occhi aperti del desiderio, istanti passati solo a guardare, respirare a fondo. È il luogo dove ci perderemo, è la tenacia di passare la roccia sporgente, salire, misurare la propria forza, occhi tesi, labirinti.

Il senso, il tremore dell’epica, l’ho provato ancora una volta leggendo il romanzo di Benedicta Froelich, ‘L’indicibile inverno, una storia bipolare’ (Oltre Edizioni, 2020). Scrittura limpida, capace di entrare con passione nei sentimenti di chi vivendo un sogno, un ideale, ha sfiorato l’infinito. Il suo farsi orizzonte tra i meandri del ghiaccio. È la spedizione del Capitano Robert Falcon Scott alla conquista dell’Antartide per assistere alla nidificazione invernale del Pinguino Imperatore, riletta in doppia voce dall’unico superstite dell’impresa, Apsley Cherry-Garrard, affetto da sindrome bipolare e da Frida, portatrice ai giorni nostri dello stesso disagio.

Leggendo per caso questa storia su una rivista, Frida apre un dialogo profondo con sé stessa, trovando nella testimonianza di Cherry Garrard le ragioni (nascenti) di una salvezza possibile. Il ‘Viaggio d’Inverno’, è anche segno del valore dell’amicizia e della solidarietà; è il sentimento che lega il protagonista per gli amici Edward ‘Bill’ Wilson e per ‘Birdie’ Henry Bowers, risucchiati dal freddo disumano. Due epoche, due vite, l’elemento tragico dell’epica, tuttavia risvegliante; risonanza, deposizione ‘intagliata nel segno del sentimento’, per stare con Paul Celan. Frida si immerge per stadi successivi, dettagli, ricordi, nella storia di questo esploratore, storia che letta nella sua crudezza costituisce l’apice di un conflitto interiore che si scioglierà nello snodo di echi presenti e lontani; la sofferenza, l’angoscia.

Ecco un brano rivelatore. "Mi sveglio lentamente, la coscienza che riprende inesorabilmente possesso del mio corpo appesantito con graduale e dolorosa puntualità. Niente da fare: anche oggi qualcosa di me mi spinge a riprendere penosamente consapevolezza di me stessa e della mia presenza in questo odiato angolo di mondo, e iniziare una nuova giornata". E più avanti, dopo un sospiro. "Mi sembra di aver sognato qualcosa di molto strano, che aveva a che fare con la neve e il freddo… ma non riesco a ricordare nulla di preciso". Un doppio binario che cala la protagonista nel dramma vissuto dai membri della spedizione in Antartide, un cammino contornato da abissi, quello di Frida, attraversato con dolore e speranza, quasi a chiudere gli occhi per gettarsi nell’altro, (es schliesst die Auge), dando corpo a un destino nuovo, una seconda nascita.

Fitzcarraldo

Josè Fermin Fitzcarraldo, coltiva un grande sogno. Un ideale. Forse, la sua è un’epica un po’ distorta perché accompagna l’inesauribile desiderio di andare oltre in un terreno sconosciuto, di fatto terra degli Indios, del Rio delle Amazzoni, vicino alle violente rapide del Pongo das Mortes, dove le acque si sfiorano. Fitzcarraldo, deve fare i conti con gli Jivaros e i loro attacchi, questo su una nave trasportata nella foresta con un sacrificio indicibile.

È l’idea di un teatro d’opera dove a Iquitos si potrà ascoltare Enrico Caruso, la musica di Wagner. L’ascesi di Fitzcarraldo (Klaus Kinski) appare nelle sequenze del film come metafisica spietata, urlante, che in fondo cerca non la verità ma il suo senso, il teatro quale vita e morte, la necessità del tempo come ponte per la libertà passando dalla ragione alla follia e da questa ancora alla ragione. Contempla l’uscita nel XX secolo dalla pura razionalità per il versante dello stupore trascinando il mistero, zone di luce e ombra, l’idea del chiasma di cui ha parlato Merleau-Ponty. "L’idea del chiasma, cioè: ogni rapporto all’essere è simultaneamente prendere ed essere preso, la presa è presa, è inscritto nello stesso essere che essa prende".

Fitzcarraldo assolda uomini, costruisce la nave secondo alcuni dettami, si immerge in una natura originaria, assoluta, quasi carnale. Inganna gli Indios perché si fa credere una divinità, gli stessi che terminata una festa sciolgono gli ormeggi lasciando la nave alle rapide – immagine straordinaria – che tuttavia le supera. Fine del sogno, celebrato dal suono di un’orchestra. Fitzcarraldo è lo stesso Werner Herzog, ricordiamo gli splendidi ‘Aguirre, furore di Dio’ (1972); ‘La ballata di Stroszek’ (1977); ‘Nosferatu, principe della notte’ (1979), che si cala completamente nella foresta portando il suo sguardo, la sua ‘verità estatica’, perché seguendo il pensiero del regista non bisogna abbandonare i sogni, anche se difficili da realizzare. Sognate anche voi, sembra dire. Accanto a questo, l’impresa ha rasentato la follia; volendo trasformare la realtà, Herzog ha superato ostacoli quasi insormontabili. "Vivo o muoio con questo progetto", ha scritto.

Il cinema in montagna

Le sale cinematografiche non sono solo per la città. Sorgono al mare, nelle arene estive, quando l’aria salmastra sfiora gli spettatori. In paesi circondati da pianure estese, la nebbia fuori appena usciti che attraversa i nostri occhi. E in montagna, dentro nuclei attorniati da vette fronte cielo, silenziose. Ad Airolo, altitudine 1’175 metri, il ‘Cinema Leventina’ è il più a nord del Cantone Ticino.

Inizio un dialogo, che avrà un seguito, con Alis Rizzato, presidentessa dell’Associazione Leventina cinema, su cosa significhi per lei e per chi è impegnato in questo originale percorso culturale, gestire una sala in montagna. «Riteniamo sia importante per la popolazione e anche per i turisti che vengono in estate. Due mesi, luglio e agosto, dove siamo sempre aperti per dare la possibilità a chi viene ad Airolo e dintorni di partecipare a un evento particolare. Un’attrattiva culturale». Immagino sia stata anche una proposta verso i residenti e i comuni limitrofi. «Certamente, direi per tutta la Leventina. C’è stato un periodo di grande partecipazione, rallentato per il Covid che ha diminuito di molto le presenze». Continueremo a scoprire questa interessante sala con Alis Rizzato. E siamo contenti che Fitzcarraldo non sia passato proprio da queste parti, con l’intenzione di portare il cinema sulla vetta del Tremorgio.



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Il genere letterario della narrazione eroica raccontato da un romanzo di Benedicta Froehlich, il film di Werner Herzog e Alis Rizzato del Cinema Leventina

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Si può pensare che l’epica sia uno dei pochi sentieri dove ritrovare la pienezza del sogno, una volta usciti dalla disillusione del presente, nel peso dei giorni che si ripetono senza fine. Allora iniziamo a esplorare quella parte del bosco per noi oscura, difficile da raggiungere; questo è il sogno ad occhi aperti del desiderio, istanti passati solo a guardare, respirare a fondo. È il luogo dove ci perderemo, è la tenacia di passare la roccia sporgente, salire, misurare la propria forza, occhi tesi, labirinti.

Il senso, il tremore dell’epica, l’ho provato ancora una volta leggendo il romanzo di Benedicta Froelich, ‘L’indicibile inverno, una storia bipolare’ (Oltre Edizioni, 2020). Scrittura limpida, capace di entrare con passione nei sentimenti di chi vivendo un sogno, un ideale, ha sfiorato l’infinito. Il suo farsi orizzonte tra i meandri del ghiaccio. È la spedizione del Capitano Robert Falcon Scott alla conquista dell’Antartide per assistere alla nidificazione invernale del Pinguino Imperatore, riletta in doppia voce dall’unico superstite dell’impresa, Apsley Cherry-Garrard, affetto da sindrome bipolare e da Frida, portatrice ai giorni nostri dello stesso disagio.

Leggendo per caso questa storia su una rivista, Frida apre un dialogo profondo con sé stessa, trovando nella testimonianza di Cherry Garrard le ragioni (nascenti) di una salvezza possibile. Il ‘Viaggio d’Inverno’, è anche segno del valore dell’amicizia e della solidarietà; è il sentimento che lega il protagonista per gli amici Edward ‘Bill’ Wilson e per ‘Birdie’ Henry Bowers, risucchiati dal freddo disumano. Due epoche, due vite, l’elemento tragico dell’epica, tuttavia risvegliante; risonanza, deposizione ‘intagliata nel segno del sentimento’, per stare con Paul Celan. Frida si immerge per stadi successivi, dettagli, ricordi, nella storia di questo esploratore, storia che letta nella sua crudezza costituisce l’apice di un conflitto interiore che si scioglierà nello snodo di echi presenti e lontani; la sofferenza, l’angoscia.

Ecco un brano rivelatore. "Mi sveglio lentamente, la coscienza che riprende inesorabilmente possesso del mio corpo appesantito con graduale e dolorosa puntualità. Niente da fare: anche oggi qualcosa di me mi spinge a riprendere penosamente consapevolezza di me stessa e della mia presenza in questo odiato angolo di mondo, e iniziare una nuova giornata". E più avanti, dopo un sospiro. "Mi sembra di aver sognato qualcosa di molto strano, che aveva a che fare con la neve e il freddo… ma non riesco a ricordare nulla di preciso". Un doppio binario che cala la protagonista nel dramma vissuto dai membri della spedizione in Antartide, un cammino contornato da abissi, quello di Frida, attraversato con dolore e speranza, quasi a chiudere gli occhi per gettarsi nell’altro, (es schliesst die Auge), dando corpo a un destino nuovo, una seconda nascita.

Fitzcarraldo

Josè Fermin Fitzcarraldo, coltiva un grande sogno. Un ideale. Forse, la sua è un’epica un po’ distorta perché accompagna l’inesauribile desiderio di andare oltre in un terreno sconosciuto, di fatto terra degli Indios, del Rio delle Amazzoni, vicino alle violente rapide del Pongo das Mortes, dove le acque si sfiorano. Fitzcarraldo, deve fare i conti con gli Jivaros e i loro attacchi, questo su una nave trasportata nella foresta con un sacrificio indicibile.

È l’idea di un teatro d’opera dove a Iquitos si potrà ascoltare Enrico Caruso, la musica di Wagner. L’ascesi di Fitzcarraldo (Klaus Kinski) appare nelle sequenze del film come metafisica spietata, urlante, che in fondo cerca non la verità ma il suo senso, il teatro quale vita e morte, la necessità del tempo come ponte per la libertà passando dalla ragione alla follia e da questa ancora alla ragione. Contempla l’uscita nel XX secolo dalla pura razionalità per il versante dello stupore trascinando il mistero, zone di luce e ombra, l’idea del chiasma di cui ha parlato Merleau-Ponty. "L’idea del chiasma, cioè: ogni rapporto all’essere è simultaneamente prendere ed essere preso, la presa è presa, è inscritto nello stesso essere che essa prende".

Fitzcarraldo assolda uomini, costruisce la nave secondo alcuni dettami, si immerge in una natura originaria, assoluta, quasi carnale. Inganna gli Indios perché si fa credere una divinità, gli stessi che terminata una festa sciolgono gli ormeggi lasciando la nave alle rapide – immagine straordinaria – che tuttavia le supera. Fine del sogno, celebrato dal suono di un’orchestra. Fitzcarraldo è lo stesso Werner Herzog, ricordiamo gli splendidi ‘Aguirre, furore di Dio’ (1972); ‘La ballata di Stroszek’ (1977); ‘Nosferatu, principe della notte’ (1979), che si cala completamente nella foresta portando il suo sguardo, la sua ‘verità estatica’, perché seguendo il pensiero del regista non bisogna abbandonare i sogni, anche se difficili da realizzare. Sognate anche voi, sembra dire. Accanto a questo, l’impresa ha rasentato la follia; volendo trasformare la realtà, Herzog ha superato ostacoli quasi insormontabili. "Vivo o muoio con questo progetto", ha scritto.

Il cinema in montagna

Le sale cinematografiche non sono solo per la città. Sorgono al mare, nelle arene estive, quando l’aria salmastra sfiora gli spettatori. In paesi circondati da pianure estese, la nebbia fuori appena usciti che attraversa i nostri occhi. E in montagna, dentro nuclei attorniati da vette fronte cielo, silenziose. Ad Airolo, altitudine 1’175 metri, il ‘Cinema Leventina’ è il più a nord del Cantone Ticino.

Inizio un dialogo, che avrà un seguito, con Alis Rizzato, presidentessa dell’Associazione Leventina cinema, su cosa significhi per lei e per chi è impegnato in questo originale percorso culturale, gestire una sala in montagna. «Riteniamo sia importante per la popolazione e anche per i turisti che vengono in estate. Due mesi, luglio e agosto, dove siamo sempre aperti per dare la possibilità a chi viene ad Airolo e dintorni di partecipare a un evento particolare. Un’attrattiva culturale». Immagino sia stata anche una proposta verso i residenti e i comuni limitrofi. «Certamente, direi per tutta la Leventina. C’è stato un periodo di grande partecipazione, rallentato per il Covid che ha diminuito di molto le presenze». Continueremo a scoprire questa interessante sala con Alis Rizzato. E siamo contenti che Fitzcarraldo non sia passato proprio da queste parti, con l’intenzione di portare il cinema sulla vetta del Tremorgio.



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