Antonio Zorco, detto Nino, è l’autore di questo libro di memorie  centrate soprattutto sul suo arresto, nell’agosto del 1944, da parte dei  tedeschi, sulla sua detenzione ai lavori forzati nel campo di  concentramento di Mühldorf dal 9 settembre 1944 al 4 agosto 1945 e  sull’immediato dopoguerra, quando, tornato a Fiume, la sua città natale,  la trova occupata dalle forze jugoslave e vede i suoi vecchi amici  d’infanzia un po’ alla volta andarsene in esilio, chi clandestinamente –  come farà una delle sue due sorelle non appena sposata con uno dei suoi  migliori amici – chi legalmente, dopo essersi visti espropriare tutti i  beni dal potere comunista, chi suicidandosi. Anni che risultano  fondamentali per capire, attraverso le drammatiche vicende personali di  un tranquillo uomo qualunque, cosa è successo a Fiume, e nella Venezia  Giulia in generale, negli anni della guerra in seguito all’occupazione  prima tedesca e poi jugoslava. Quel progressivo sentirsi stranieri in  casa propria dove, nel giro di pochi mesi, a prendere il sopravvento in  città in maniera del tutto inarrestabile, agli ordini di Belgrado, è  altra gente, un’altra lingua e cultura, altri costumi, dando così avvio a  un processo di cambiamento radicale dell’humus secolare proprio delle  terre istriane e della città di Fiume, da far sentire estranei in casa  propria i pochi italiani a cui è capitato di restare.
 L’introduzione  al libro di Diego Zandel, nipote dell’autore, e la postfazione dello  storico Roberto Spazzali, aiutano a contestualizzare le drammatiche  vicende personali qui narrate nel quadro famigliare da una parte e  storico dall’altra di cui Antonio Zorco è stato, suo malgrado, uno delle  migliaia e migliaia di protagonisti.
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